Essendo ogni persona unica nelle sue peculiarità, ogni intervento psicologico costituisce una storia a sé. Non esistono criteri standard, applicabili a priori, per definire un percorso psicoterapeutico. Le righe che seguono hanno lo scopo di provare a descrivere, solo a grandi linee, lo specifico orientamento psicoterapeutico adottato e – impresa ancor più ardua – ciò che avviene in terapia.

La speranza è quella di fornire un quadro d’insieme sufficientemente chiaro (o perlomeno stimolante), a chi si avvicina per la prima volta alla psicoterapia o a chi desidera approfondirne questa specifica metodologia.


La Psicoterapia Cognitivo-Comportamentale (conosciuta in ambito internazionale con l’acronimo CBT – Cognitive Behavioural Therapy) è oggi universalmente considerata uno dei più affidabili ed efficaci modelli per la comprensione ed il trattamento dei disturbi emotivi e comportamentali.

Questo modello si basa sull’assunto che nessun evento in sé può causare direttamente un problema emotivo/comportamentale nella persona. Le situazioni reali, che la persona si trova a vivere e ad affrontare, possono esercitare un ruolo nella determinazione di eventuali disturbi psicologici esclusivamente attraverso l’interpretazione prodotta dalle strutture e costruzioni cognitive dell’individuo (inferenze, giudizi, doverizzazioni ecc.).

L’uomo non soffre per le cose in sé, ma per le opinioni che ha di quelle cose.

Epitteto, 120 D.C.

L’aspetto teorico cardine della CBT illustra come vi sia una profonda interconnessione tra le nostre emozioni, i nostri pensieri ed i nostri comportamenti. Alla luce di tale assunto emerge come i disturbi psicopatologici ed i problemi emotivi siano la conseguenza di pensieri disfunzionali, i quali persistono nel tempo a causa di meccanismi di mantenimento.
A volte è difficile individuare ciò che pensiamo in certe situazioni in quanto alcuni nostri pensieri sono diventati automatici perché certi modi di pensare sono stati praticati così frequentemente da diventare abituali e da sfuggire alla nostra consapevolezza. Questo talvolta ci dà l’impressione, a fronte a un determinato evento esterno, di aver reagito emotivamente senza nessun pensiero. Altre volte è difficile individuare i nostri pensieri perché spesso confondiamo i pensieri con le emozioni. Ci può capitare per esempio di dire: “sento che non ce la farò mai”, oppure “mi sento un incapace”, mentre sarebbe più preciso dire “penso che non ci ce la farò mai”, “penso di essere un incapace”.

I problemi psicologici (e i problemi comportamentali associati), sono dunque in gran parte l’’espressione di credenze ed aspettative disfunzionali, relative alla possibilità che si realizzino conseguenze particolarmente temute per lo specifico individuo (ad es. essere impotenti di fronte alle situazioni, perdere il controllo di sé o di ciò che ci circonda; sentirsi privo di valore personale/incapace/fallito; essere autore di una colpa cruciale e, dunque, meritare sdegno e disapprovazione; ammalarsi gravemente o contaminarsi; essere escluso e non apprezzato dagli altri; ecc.).

Queste ipersensibilità, una volta individuate e condivise tra paziente e terapeuta, vengono interpretate alla luce della specifica storia personale del soggetto, mentre gli schemi di significato con cui questi si relaziona col suo mondo (che possono avere un carattere di pervasività anche in aree non sintomatiche del soggetto) vengono resi consapevoli per essere discussi insieme al terapeuta.

Il terapeuta aiuta il soggetto a ricostruire la propria storia di apprendimento e a rendersi conto che alcune idee su di sé e sul mondo sono state concepite in circostanze particolari (e in quelle circostanze sono state probabilmente utili e adattive), soprattutto nella relazione di attaccamento con gli adulti significativi.

Dopo questa prima fase, in psicoterapia si propone al paziente di modificare i vecchi schemi generatori di sofferenza svelandone la soggettività, la parzialità e l’inadeguatezza. Seguirà dunque una fase ricostruttiva, in cui gli schemi indagati saranno sostituiti con altri, nuovi e più idonei. Questi non verranno “forniti” dal terapeuta, ma il paziente sarà sollecitato ed aiutato ad esplorare nuovi modi di costruire la realtà, identificando le alternative possibili, articolandole al massimo grado ed, infine, sperimentandole.

La psicoterapia si avvale di utili e specifiche tecniche (vedi tecniche) che il terapeuta presenta e propone al paziente e che verranno utilizzate per l’acquisizione degli obiettivi discussi e condivisi all’inizio del percorso, e per quelli che possono diventare nuovi target in itinere.

Così descritto il processo terapeutico sembra lineare, quasi semplice. Ogni percorso in realtà è unico e irripetibile, e perché la terapia funzioni occorrono numerose condizioni. A parte la motivazione del paziente al cambiamento e la competenza/professionalità del terapeuta, occorrono almeno un paio di premesse fondamentali che hanno a che fare con entrambi gli attori coinvolti: l’instaurarsi tra paziente e terapeuta di una relazione intensa e di un linguaggio comune, o meglio di un contesto condiviso di significati in cui siano possibili scambi importanti.

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La tradizione scientifica a cui si fa riferimento è dunque quella empirista , rappresentata dalla terapia cognitivo-comportamentale cognitivista e costruttivista.
La Terapia Cognitiva nasce negli Stati Uniti negli anni ’60 (con il nome di Terapia Cognitiva Standard) ma negli anni ha di fatto allargato molto i suoi orizzonti teorici e applicativi, la stessa pratica clinica si è trasformata in modo significativo: dalla stretta aderenza ai protocolli il terapeuta cognitivo è passato gradualmente a un approccio che mette al centro del lavoro psicoterapico la storia di apprendimento del paziente e la relazione stessa tra terapeuta e paziente. La psicoterapia cognitiva oggi fa ampiamente riferimento a discipline come la psicobiologia, la neuropsicologia e la psicotraumatologia e considera fra i suoi più importanti riferimenti teorici la Teoria dell’Attaccamento di John Bowlby.